“La solitudine di una madre” è un’opera teatrale che esplora la psiche di una donna dopo la partenza del figlio, con Lunetta Savino.

Sul palcoscenico si innalza il sipario per rivelare la quotidianità sconvolta di Anna, protagonista dell’opera teatrale “La solitudine di una madre”. La partenza del figlio segna l’inizio di un percorso doloroso e intimo, che Florian Zeller dipinge con abilità narrativa. In scena, la solitudine si fa palpabile, mentre la vita coniugale di Anna sfuma in una serie di gesti privi di affetto e di presenze ormai assenti. La sua esistenza si trasforma in un cammino solitario lungo i meandri di una realtà ambigua, dove il confine tra ciò che è vero e ciò che è immaginario si assottiglia. La protagonista si trova a navigare tra ricordi distorti e visioni che sfidano la percezione del pubblico.

Le dinamiche familiari si complicano ulteriormente di fronte all’egoismo del marito, che cela una relazione clandestina, e alla distanza emotiva del figlio. Questi elementi contribuiscono a una rappresentazione fedele delle complessità relazionali. La malattia mentale, sebbene mai esplicitata, si riflette nelle interazioni dei personaggi, diventando un medium attraverso cui emergono verità scomode e contraddizioni umane.

Lunetta Savino offre al pubblico una performance di spessore, riuscendo a incarnare la dualità di una donna che, pur nella sua fragilità, mantiene una volontà di ferro. La sua prestazione è un viaggio emozionale che invita gli spettatori a una riflessione profonda sull’esistenza e sulle sue ferite invisibili.

La regia di Marcello Cotugno si distingue per la sua essenzialità, creando un ambiente scenico che enfatizza il dramma interiore di Anna. La scenografia, pura e senza fronzoli, permette alla narrazione di fluire liberamente, guidando gli spettatori attraverso le ombre della mente della protagonista.

L’opera si conclude lasciando nell’aria un interrogativo persistente: è possibile distinguere con certezza la realtà dalle illusioni? Un interrogativo che risuona ben oltre l’applauso finale, invitando a una meditazione personale sulla natura mutevole della verità.